La Suprema Corte ha chiarito che i principi elaborati in materia di assegno divorzile trovano piena applicazione anche quando la richiesta di assegno segue lo scioglimento di un’unione civile.
In entrambe le ipotesi, il giudice è chiamato a svolgere una valutazione complessiva della storia della coppia, tenendo conto non solo del passato, ma anche delle prospettive future.
Tale valutazione deve coniugare i valori di parità e solidarietà con quello dell’autoresponsabilità, superando il tradizionale criterio del “tenore di vita” e riferendosi invece a un livello reddituale proporzionato al contributo dato da ciascun partner alla vita comune.
L’unione civile, pur distinta dal matrimonio e caratterizzata da regole più snelle sullo scioglimento (senza la fase della separazione né l’assegno di mantenimento), resta comunque soggetta, per quanto riguarda l’assegno, ai principi previsti dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, così come interpretati dalla giurisprudenza.
La questione Affrontata dalla Cassazione.
Il caso esaminato trae origine dallo scioglimento di un’unione civile tra due donne, unite nel 2016 dopo anni di convivenza.
In primo grado era stato riconosciuto un assegno mensile in favore della parte economicamente più debole, assegno poi revocato dalla Corte d’appello.
Successivamente la Cassazione, richiamando l’importanza di considerare anche il periodo di convivenza precedente, ha annullato quella decisione.
La Corte territoriale, in sede di rinvio, ha confermato il diritto all’assegno, ma un nuovo ricorso ha portato i giudici di legittimità a intervenire nuovamente, precisando i criteri da adottare.
Secondo la Cassazione, l’assegno può avere una duplice funzione:
assistenziale, quando mira a garantire al richiedente mezzi adeguati a un’esistenza autonoma e dignitosa, qualora egli non sia in grado di procurarseli nonostante l’impegno profuso;
perequativo-compensativa, quando lo squilibrio economico dipende da scelte condivise di vita familiare che hanno comportato sacrifici professionali e reddituali di una delle parti, sacrifici funzionali al benessere della coppia e alla formazione del patrimonio comune o personale dell’altro partner.
L’importanza della convivenza precedente.
La Corte ha sottolineato che la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, parametrato esclusivamente alle necessità vitali del richiedente, senza riferimento al tenore di vita precedente.
Se, invece, ricorre anche la funzione compensativa, l’assegno deve riflettere il contributo dato alla vita familiare e al patrimonio della coppia.
Il giudice di merito, pertanto, deve verificare non solo la disparità economica tra le parti, ma anche se la condizione del richiedente imponga effettivamente un’integrazione economica per garantirgli una vita dignitosa.
Inoltre, per il profilo compensativo, occorre dimostrare sia la rinuncia a concrete opportunità professionali, sia un contributo rilevante all’organizzazione familiare o alla crescita patrimoniale comune.
Spetterà ora nuovamente alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, riesaminare il caso applicando questi principi.
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