Quando e come le chat possono essere usate come prova dell’infedeltà
Nel contesto delle separazioni personali tra coniugi, la prova dell’infedeltà rappresenta ancora oggi un tema rilevante, soprattutto nei procedimenti in cui si discute dell’addebito della separazione. Con l’ampia diffusione di strumenti di messaggistica istantanea – come WhatsApp, Telegram, Messenger e simili – è sempre più frequente il ricorso alle chat come prova dell’infedeltà nella separazione per dimostrare comportamenti contrari ai doveri coniugali.
Ma quando è possibile utilizzare questi messaggi in giudizio? E quali sono i limiti legali e le cautele necessarie?
Infedeltà e addebito della separazione
L’addebito della separazione è disciplinato dall’art. 151 del Codice civile. Affinché esso venga riconosciuto, occorre dimostrare che la condotta del coniuge ha violato uno o più doveri coniugali (fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale, collaborazione), e che tale violazione abbia avuto un nesso causale con la crisi del matrimonio.
L’infedeltà, in quanto violazione del dovere di fedeltà, può giustificare l’addebito solo se è la causa determinante della rottura del rapporto e non se sopravviene quando la crisi è già in atto. La parte interessata ha quindi l’onere di fornire prove concrete e tempestive del comportamento lesivo.
Le chat come prova dell’infedeltà documentale
Le conversazioni digitali possono essere considerate riproduzioni informatiche, assimilabili alla prova documentale. In termini generali, i messaggi di chat possono essere prodotti in giudizio purché:
Siano pertinenti e rilevanti rispetto ai fatti contestati;
Siano autentici e non manipolati;
Siano acquisiti nel rispetto della legge e delle norme sulla riservatezza.
In assenza di contestazione sull’autenticità, una semplice stampa può anche essere sufficiente. Tuttavia, in caso di dubbi o opposizione della controparte, può rendersi necessario il ricorso a una consulenza tecnica informatica per dimostrarne la genuinità e la provenienza.
Modalità di acquisizione: tra diritto alla prova e tutela della privacy
L’aspetto più delicato riguarda il modo in cui i messaggi vengono acquisiti. Non tutte le chat, anche se potenzialmente utili, sono automaticamente utilizzabili nel processo civile. Occorre distinguere diverse ipotesi:
Messaggi ricevuti direttamente dal coniuge: Se un coniuge è parte della conversazione (cioè è il destinatario o il mittente dei messaggi), può produrli in giudizio. In questo caso non si configura alcuna violazione della privacy, trattandosi di comunicazioni dirette.
Accesso al dispositivo del partner: Se le chat sono estratte dal cellulare dell’altro coniuge senza consenso, specialmente forzando sistemi di sicurezza o senza autorizzazione, si rischia di incorrere in una violazione del diritto alla riservatezza. L’utilizzabilità in giudizio di queste prove è controversa e dipende spesso dalla valutazione del giudice, che dovrà bilanciare il diritto alla prova con il diritto alla tutela dei dati personali.
Chat tra terzi: Le conversazioni tra soggetti estranei alla coppia non possono essere acquisite legittimamente da un coniuge e prodotte in giudizio, se non nei limiti previsti dalla legge. In assenza di autorizzazione, la loro produzione potrebbe risultare inammissibile.
In linea generale, il diritto alla prova non può essere esercitato con modalità illecite, soprattutto quando implica la violazione della sfera privata di terzi o del partner.
L’importanza dell’autenticità della prova
Nel processo civile, l’onere della prova grava su chi formula una determinata allegazione. Per questo motivo, la parte che intende utilizzare una conversazione digitale dovrà prestare particolare attenzione alla veridicità e all’integrità del contenuto.
Non è raro che vengano contestate la veridicità dei messaggi, la loro data o la loro completezza. Per questo, in caso di prove digitali particolarmente rilevanti, può essere opportuno ricorrere a:
Un accertamento tecnico preventivo (ex art. 696 c.p.c.), che consenta di cristallizzare il contenuto del dispositivo;
Una perizia informatica forense, in grado di dimostrare che i messaggi non sono stati alterati e che provengono effettivamente dal dispositivo del coniuge.
In alternativa, può essere richiesto l’intervento del giudice per disporre l’acquisizione diretta dei contenuti dal dispositivo elettronico, con le dovute garanzie processuali.
Considerazioni conclusive
L’utilizzo delle chat come prova dell’infedeltà nella separazione e nel divorzio è ormai una realtà consolidata. Tuttavia, non tutte le conversazioni digitali possono essere utilizzate liberamente: è essenziale che siano pertinenti, autentiche e acquisite nel rispetto delle norme sulla privacy e della legalità processuale.
La difesa tecnica deve quindi valutare con attenzione non solo il contenuto probatorio, ma anche le modalità di reperimento e la strategia processuale più opportuna. Una chat acquisita in modo illecito rischia non solo di essere inutilizzabile, ma può anche dar luogo a responsabilità civili o, nei casi più gravi, penali.
In conclusione, la prova dell’infedeltà attraverso le chat è ammissibile, ma solo se conforme ai princìpi di lealtà processuale, legalità e rispetto dei diritti fondamentali. L’avvocato ha il compito di orientare il proprio assistito verso una strategia probatoria efficace e rispettosa dei limiti imposti dall’ordinamento.
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